Quello che sconcerta, dei giornalisti che scrivono sui nostri quotidiani nazionali, è ancora una volta l’imprecisione e l’incapacità di descrivere la realtà di ciò che succede. Nei cantieri, e non solo, evidentemente. Nella mattinata di sabato scorso, 25 giugno, a Milano, tra via Manfredini e via Prina, è morto un piccolo imprenditore edile di 59 anni, travolto da quello che – stando alle interpretazioni confuse date dai sedicenti cronisti sul campo – dovrebbe essere una cesta adibita al carico macerie, precipitata al suolo da un’altezza di 15 metri, dopo il cedimento dello sfilo terminale di un’autogrù telescopica. Fin qui, quello che, a fatica, abbiamo dedotto dalle diverse versioni date da giornali nazionali e agenzie di stampa.
Il problema, drammatico, è che l’anarchia regna sovrana ovunque. Si parla, alternativamente, del rifacimento della copertura di un palazzo; poi, di un trasloco in atto. Quindi, il titolare dell’impresa rimasto vittima dell’incidente sarebbe invece “socio” di una delle imprese in subappalto incaricate dei lavori. Peccato che le imprese, osservando attentamente le livree dei mezzi coinvolti nell’incidente, riportino i nomi di una nota società di traslochi e di un’azienda di noleggio autogrù, entrambe della provincia di Milano. Nessuna traccia di mezzi e insegne della realtà di Treviglio (Bg) di cui sarebbe stato titolare il “socio” (purtroppo deceduto poche ore fa), vittima del tragico incidente.
Senz’altro gli inquirenti saranno alacremente al lavoro per capire che cosa sia successo. Noi ci limitiamo a constatare che, all’evidenza, per un lavoro di ristrutturazione, potrebbero essere state incaricate addirittura tre imprese in subappalto; in secondo luogo, che, dal racconto superficiale dei cronisti, a cedere sarebbe stato il braccio di un’autogrù (sul fianco del quale è ben evidente il nome del noleggiatore), ma si cita invece come proprietario uno specialista di traslochi (inquadrando nelle foto un’altra gru, questa sì del traslocatore in questione, ma di un modello in alluminio, della tipologia “a scavalco”, utilizzata nell’edilizia e nei traslochi e non allestita su autocarro, ma in versione semovente, trasportabile su rimorchio). Allora, quale delle due gru ha ceduto? Altre versioni parlano, addirittura, di un cestello che portava delle strutture metalliche in quota (presumibilmente montato sull’autogrù).
Il risultato, da qualsiasi parte lo si voglia considerare, è avvilente. Una dinamica descritta senza competenze anche minime, in modo oltremodo trascurato, aggrava l’ennesima morte in cantiere con i dettagli della mancanza di senso, dell’attenzione critica, della competenza professionale. Praticamente di tutti gli elementi che occorrono alla denuncia sociale di un fenomeno ormai endemico come quello delle morti sul lavoro. Meglio, delle morti nel settore delle costruzioni. Questa trascuratezza è lo specchio della mancanza di controlli evidente nel mondo dell’edilizia odierna, con il corollario dei decessi e del pericolo costante (aggravato dalla corsa al profitto senza regole ingenerato dalle nuove, fittizie “imprese 110%”). Cambierà mai qualcosa? Chiediamocelo noi giornalisti, per primi, quando ci riteniamo professionisti – soprattutto nelle alte sfere dell’informazione – solo per saper riconoscere nel dettaglio le imprese dell’ultimo tiktoker, i protagonisti dell’ennesima, pulciosa, sfilata di moda, oppure le biografie aggiornate di nostrani parassiti in evidenza. Intanto, nella vita reale, si muore di lavoro insostenibile. Anche nella città dal respiro europeo che ha dichiarato guerra a tutte le auto. A partire dalle auto-coscienze.